La lettera ricevuta

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Copio e incollo una lettera ricevuta. Roma 7 giugno 2010.
Dodici ore dopo, ancora non ci credo. Ancora mi girano le palle. Ancora quel senso di incazzatura, frustrazione, rabbia. Saranno i 3 mesi di corso sulla non violenza, la comunicazione orizzontale e tutte le belle parole che poi ti chiedi a cosa sono servite.
Alla manifestazione ieri eravamo veramente . Poche bandiere, qualche slogan, mamme velate con bambini nel passeggino, qualcuno vende fischietti, qualcun altro una kefiah, più una rimpatriata di amici che altro. Una bella atmosfera. Dopo un’oretta di chiacchiere, il corteo si muove, direzione piazza del Popolo. Da piazza della Repubblica risaliamo via Orlando, poi scendiamo a piazza Barberini, due chiacchiere, una birra. A Trinità dei Monti ormai ci siamo tutti sciolti. Dietro di noi, un’armata di carabinieri in assetto antisommossa “e che deve succedere??”. Ci fanno quasi pure ridere.
Dai, sono le sette e mezzo, io e Sergio decidiamo di rincamminarci verso la stazione. Prendiamo la metro? No dai, è bello, facciamo due passi per Roma.
Risaliamo via di Quattro Fontane, poi svoltiamo per tornare a piazza S. Susanna. Sempre in chiacchiera. Nessun distintivo, nessuna bandiera. Siamo due passanti come tanti altri, l’idea nemmeno mi sfiora il cervello.
All’incrocio con la piazza, quattro pischelli in motorino, scarabeo, polo col colletto rialzato, casco a “scodella”, ci chiedono, senza nemmeno troppo fingere di fare gli attori, se “le strade erano libere, la manifestazione è passata, è finita, ma voi venite da lì”. Non ci torna, ma lì per lì non ci pensiamo. Certo, salta agli occhi che mai avrebbero pensato di unirsi alla manifestazione. Io, ingenuamente, penso che forse “volevano solo evitarci”, a noi zecche comuniste che manifestiamo per quel popolo ancora più zecca e comunista dei palestinesi.
Proseguiamo, arriviamo in piazza S. Susanna, svoltiamo a destra per via Orlando.
Succede in un attimo.
Il ragazzetto dal colletto rialzato si avvicina da dietro, finge una telefonata al cellulare. Sergio lo vede con la coda dell’occhio, io sento solo un botto, il botto del casco sulla testa di Sergio. Agguanta Sergio da dietro e inizia a colpirlo violentemente con il casco. Lo stringe, lo butta a terra sul marciapiede e continua a picchiarlo con il casco, gli tira dei calci in petto. È un pestaggio in piena regola.
Io inizio ad urlare. Non mi viene in mente di strapparlo, di tirargli un calcio, nonostante tiri calci per sei ore alla settimana, ma urlo come una pazza, lo inseguo in quei tre metri tra marciapiede, macchine parcheggiate e strada. Accanto, in strada, gli altri tre lo aspettano in motorino. Lui, finita la sua bravata, urla un “Forza Israele” che suona più fuori luogo che mai, monta in sella e scappano. Dieci secondi di terrore. Di rabbia, di un’aggressione più inutile e gratuita che mai.
Rimaniamo lì, nella folla dei passanti, increduli, mentre spiego al 113 che sì siamo stati aggrediti, no non ci siamo fatti male, sì ho preso la targa “però non so se è giusta”, “è giusta o no?!” mi fa il poliziotto al telefono, ma che ne sooooo gli vorrei urlare, dov’eravate voi, quando fino a 5 minuti fa eravamo ricoperti di carabinieri e nemmeno una scorta al corteo che si scioglie. Aspettiamo inutilmente una fantomatica volante che “è in arrivo”. Dopo un’ora decidiamo di andarcene, ormai non c’è più nessuno.
Una bravata del cazzo, un’azione finto-dimostrativa di pischelli che non sanno nemmeno di cosa parlano, ma che non hanno niente di meglio da fare durante il giorno probabilmente. Non i fasci di Casa Pound, non gli scontri in piazza con il Forum Palestina, no. 4 sedicenni dalla testa bacata, occhi neri di odio de che non se sa, che per fare i fighetti del pomeriggio e avere qualcosa da raccontare agli amichetti di Ponte Milvio il sabato sera, decidono di improvvisarsi piccole SS e di colpire un ragazzo e una ragazza. Isolati. Poveri scemi, mica vanno a colpire il corteo, mica vanno a rompere le scatole agli organizzatori, mica scelgono i cristoni bardati di kefieh. No. Scelgono due così. Che se non eravamo noi, sarebbe stato qualcun altro dopo di noi.
Fa incazzare, ma fa anche paura.
Attenti, stiamo attenti d’ora in poi, che qui, zecche, froci e tutti quanti, siamo a rischio “punizione” gratuita. Che qui c’è una parte della società che si sente autorizzata, intoccabile, impunita, ad andare in giro a picchiare chi “devia”, mossi da un’ignoranza che spaventa, da un odio montato a tavolino che fa impressione. Sarebbero ridicoli, se non andassero in giro a fare male.
È questo il desolante panorama di questo paese.
Stiamo attenti.
Costanza Pasquali Lasagni

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